Energia comportamentale

A quello di energia associamo una serie di concetti che, guidati dal filo conduttore del “consumo”, sembra ci portino a un’idea conclusiva di scomparsa: lavoro, trasformazione, dissipazione, entropia, irreversibilità, caos. Il principio di conservazione – grande costante dell’universo fisico – non ci tocca: come esseri viventi quali ci concepiamo si direbbe che non potremo beneficiarne. Mi piace allora sporgermi su un altro versante e parlare di una diversa energia, non descrivibile mediante formule e calcoli: quella comportamentale. E’ anch’essa legata a un’idea di continua trasformazione – conservazione, ma in una prospettiva che dà spazio a un processo differente dal consumo. L’energia comportamentale va associata a una cultura dei fluidi  che ha preso vita 2500 anni fa contemporaneamente in tre diversi luoghi, Cina, Grecia e India.

Lao Tze, contemporaneo di Confucio, elaborò il concetto fondamentale del taoismo, la legge del disordine, contrapposta alla legge dell’ordine di Confucio. Lao Tze scoprì come, per il movimento, fosse importante il vuoto, nel quale

si doveva collocare la vita. In eterno movimento e in continua trasformazione vedeva il mondo Eraclito di Efeso, il filosofo del divenire cui dobbiamo il concetto del “tutto scorre”. E il Buddha che ancora, sul letto di morte, riaffermava

che niente può durare eternamente e lasciava un grande strumento di comprensione del mondo che può aiutarci a trascorrere la nostra sia pur breve vita in modo gioioso. L’insegnamento di questi maestri sembrerebbe dimenticato dalla cultura moderna, una cultura in cui l’intelligenza umana, per dirla con Bergson “…si sente  a proprio agio fino a quando sta con oggetti inerti, in special modo i solidi (…) la nostra logica è la logica dei solidi  (…) la nostra intelligenza trionfa nella geometria”. L’energia comportamentale è orientata a privilegiare, nella trasformazione, anziché il consumo delle cose la fruizione: un

processo che non si appropria di ciò che gestisce e che cerca di minimizzare la dissipazione della costruzione e di massimizzare la conservazione della fluidità. Due culture, due concetti di energia e due forme di rapporto col mondo in opposizione.Una possibile conciliazione può essere tentata rifacendosi alla concezione buddista dei sensi secondo la quale l’ottavo e ultimo senso è Alaya-Shiki, il magazzino dei sensi.

Come un deposito totale e primigenio, nella stessa accezione per cui Hima-alaya  è il magazzino della neve (Hima) , nell’Alaya-Shiki  sono conservate tutte le precedenti incarnazioni di ognuno, ma tutti gli stadi della filogenesi, compresi quelli in cui il vivente era una cellula e prima ancora una molecola, un atomo, un quanto di energia. La cultura dei fluidi cerca di far propria questa enorme memoria, di sfruttarne tutti i messaggi.

Per quel che riguarda l’uomo e il suo rapporto con le cose, si colgono valide indicazioni se, senza andar tanto lontano, si recupera il vissuto dei cacciatori nomadi, ossia lo stato in cui l’uomo ha vissuto per 200.000 anni, un periodo dieci volte più lungo di quello successivo degli agricoltori e 1000 volte più lungo di quello attuale dell’uomo faber  della civiltà industriale. Per duemila secoli – e ancora oggi in qualche minima residua nicchia antropologica – il nomade ha vissuto muovendosi, ha utilizzato ciò che gli serviva senza immobilizzare alcun bene, ha conservato il minimo indispensabile, si è concepito come un evento del mondo senza dare al mondo ordine alcuno.In una parola ha fruito delle cose utilizzando l’energia del comportamento anziché distruggerle imprigionando l’energia della materia. Se riusciamo a recuperare quella intelligenza, o la cultura della fluidità, attingeremo in strati più profondi dell’ottavo senso, tireremo più indietro la nostra freccia per farla volare più lontano, ritroveremo qualcosa che abbiamo dimenticato e impareremo a vivere diversamente: meglio, presumibilmente.